Prodotti tipici Modenesi

Approfondimenti

La tradizione gastronomica modenese e' apprezzata dai buongustai di tutte le regioni d'Italia e di molti paesi del mondo. Le sue specialita' sono il prosciutto, i tortellini, lo zampone, l'aceto balsamico, il parmigiano reggiano, il lambrusco, le ciliegie, il nocino.
Da anni i Consorzi di Tutela, sorti a garanzia dell'autenticita' di questi prodotti, svolgono un'opera d'informazione, di documentazione e di promozione delle varie specialita' modenesi. Il loro operato si e' fin qui rivelato prezioso, ma Modena ha voluto fare qualcosa di piu'. Per iniziativa della Camera di Commercio e dei singoli Consorzi di Tutela, e' nato il marchio "Modena a tavola" : suo scopo e' sia potenziare la notorieta' e la diffusione delle specialita' alimentari del modenese, sia tutelare la genuinita' dei piatti e delle bevande tipiche della zona. Il menu' tipico di Modena deve quasi tutto al maiale e al formaggio di produzione locale. Partiamo da un antipasto a base di prosciutto (posteriori di maiale): dev'esse re pero' quello della zona tipica della valle del Panaro, stagionato a Samone, Vignola, Verica, Montecenere, da dove torna, dopo 10/11 mesi, col suo sapore tipico, piu' intensamente sapido di quello della produzione parmense.
Per tradizione il primo piatto dev'essere di tortellini, il cui ripieno, avvolto con pochi gesti sapienti in quadretti regolari di pasta sfoglia, deve l'essenzialita' del suo sapore alla polpa di maiale, al prosciutto e al formaggio "grana". 

Nel secondo piatto non puo' trionfare che lo zampone specialmente nella stagione invernale), con il quale torna in scena il maiale; infatti lo zampone altro non e' che la pelle delle sue zampe anteriori, insaccata con carne suina e cotenne di guanciale macinate non fini,impastate e insaporite con aromi naturali. Quasi tutta l'arte della sua preparazione stava un tempo nella capacita' di portarlo a cottura senza che la cotica esterna si rompesse; ora pero' sono diffusissimi gli zamponi precotti, cucinabili senza l'antica ansia per le cuoche. La verdura fresca dovra' essere condita con l'aceto balsamico tradizionale, che ha alle spalle una storia di secoli. Il mosto di base e' prodotto preferibilmente con l'uva bianca "trebbiana" di collina: il resto e' fatto dal tempo e da una serie di travasi, che prevedono il passaggio graduale in varie botticelle dai legni diversi. L'aceto balsamico tradizionale, che puo' raggiungere tra gli estimatori quotazioni da capogiro, e' prodotto di pregio e si caratterizza per il sapiente equilibrio tra l'agro e il dolce.
Veniamo ora al formaggio, che non potra' essere altro che un 'tocco' di parmigiano reggiano ; per gustarlo e cogliere la natura di quella granulosita' che gli ha meritato il nome di "grana" (con il quale tutti lo indicano a Modena), e' importante non tagliarlo a fette, ma spaccarlo con l'apposito coltellino: basta immergerlo nel formaggio e poi fare una lieve pressione laterale perche' se ne stacchi una 'scaglia' uniforme. Il vino sara' ovviamente il lambrusco, nei tre tipi di Sorbara, di S.Croce, di Castelvetro : tutti d.o.c. e adatti ad accompagnare tutto il pasto. Il primo, di colore rosso rubino e profumo di violetta, e' il piu' delicato e il meno alcolico; il secondo ha il primato del profumo e della gradazione alcolica (ma raggiunge solo gli 11 gradi); l'ultimo, di colore rosso, e' vino di collina, da terreni asciutti. Non bisogna cercare, a Modena, il lungo invecchiamento, perche' il lambrusco e' un vino da bere ancora giovane e appena stappato, quando conserva ancora tutto il suo frizzante e quella schiuma che inonda il bicchiere, per sparire subito, e che lo fa apparire un vero spumante. Due antichi proverbi, che qui traduciamo dal dialetto (perdendone purtroppo il sapore), possono servire come guida per la scelta del lambrusco giusto. Il primo, di schietta vena epicureo-popolare, dice: "Pane di un giorno, vino di un anno, e una ragazza di diciotto anni"; il secondo aggiunge in un ipotetico dialogo con l'oste: "Se va via la schiuma resto io, se resta la schiuma sono io che me ne vado". Se sara' primavera avanzata, la frutta sara' costituita dalle ciliegie di Vignola (nelle stagioni rimanenti sara' possibile gustarle sotto spirito: altro prodotto tipico del modenese, diffuso a livello industriale e nella pratica domestica di molte famiglie). Il liquore sara' il nocino , un infuso in alcool dei malli ancora verdi delle noci, colti - come raccomanda la tradizione - nella notte di S. Giovanni (o nei periodi vicini).Si puo' ovviamente uscire con tranquillita' dai binari di un menu' classico, e garantito dal marchio "Modena a tavola"; basta infatti entrare in un qualsiasi ristorante della citta' o trattoria della provincia, per avere la certezza di mangiare secondo una collaudata tradizione, che partendo dal menù classico intreccia interessanti variazioni. Antipasto: oltre al piu' nobile prosciutto si possono scegliere, nella gamma degli insaccati (si chiamano così perche' la carne e' infilata, cioe' insaccata, dentro budella di maiale opportunamente trattate), i salami , che sono vari per il tipo di carne, per presenza di grasso, per tipo di macinazione, per diversita' degli aromi usati per insaporire. Comunque, il piu' tipico e' il cosiddetto 'salame montanaro', fatto con carni magre di puro suino, macinate a media grossezza, insaporite con sale e pepe in grani, insaccate in budello di maiale e stagionate. Altro prodotto tipico e profumatissimo e' la mortadella (il nome pare derivare o dal pestaggio della carne nel mortaio, secondo un tipico processo di lavorazione, oppure dal mirto o mortella con cui si insaporivano le carni prima che il pepe giungesse dalle Indie). La mortadella e' composta da carne magra macinata finissima, piu' un trenta per cento di lardello tagliato a cubetti; da questi due elementi nasce l'aspetto della grossa fetta di mortadella: un tondo roseo con tanti 'occhi' bianchi. Poi c'e' tutta la serie delle pancette e delle coppe, nate dall'arrotolamento e dalla legatura di carni in parte grasse e in parte magre. Di aspetto meno intensamente colorato e di piu' umile origine sono i cosiddetti prodotti 'di recupero', come la coppa di testa e i ciccioli: umili si', ma spesso prediletti dai buongustai locali. Tre le minestre piu' tipiche che si possono trovare nelle trattorie di periferia vanno menzionati i maccheroni al pettine , conditi con ragu' di carne: sono maccheroni che si confezionano a mano con strisce di pasta sfoglia e si decorano con righe, che si ottengono facendoli passare (avvolti attorno ad un bastoncino) su un pezzo del 'pettine' (una componente dei vecchi telai domestici con una struttura, appunto, a 'pettine'). Tra i secondi piatti si possono raccomandare due varianti del piu' nobile zampone (indicate prevalentemente per la stagione piu' fresca, in funzione di una maggiore digeribilita'): il cotechino, che ha un impasto simile a quello dello zampone, solo leggermente piu' ricco di cotenne, ma e' chiuso in budello di suino, e il cappello da prete, che ha lo stesso impasto, ma e' avvolto nella pelle di guancia del suino, sagomata a forma di copricapo a tricorno; poi vengono le salsicce, di macinato di maiale insaccato in budellina pure di maiale, confezionate a nodi o in filze a forma di ciambella. Il dolce piu' tipico di Modena si chiama "bensone o belsone" (una pasta dolce, a forma di grosso pane allungato, cotta al forno e decorata con grani di zucchero); se e' stato sfornato da poco ha il profumo e l'appetibilita' delle cose semplici. Una volta si mangiava tagliato a fette e intinto nel lambrusco o nel vino bianco amabile di produzione locale.

Molte ricette tradizionali sono nate dalla miseria e dalla disponibilita' di pochi generi di base, prodotti in una economia agricola chiusa e autosufficiente per necessita'. Rimaste nella tradizione, queste ricette sono state riscoperte e rilanciate in molti locali della provincia e della montagna, sull'onda del 'ritorno all'autentico' che ha caratterizzato la cultura gastronomica a partire dagli anni '60. Le ricette tipiche del modenese a base di farina sono nettamente diverse tra loro per il metodo di cottura con o senza grassi: nella piu' ricca pianura prevale il primo; nella montagna, piu' allenata ad una secolare lotta contro la miseria, e' piu' diffuso il secondo. Il gnocco fritto (non inorridiscano i puristi! ogni modenese riderebbe di gusto a sentirsi chiedere, secondo grammatica, 'lo' gnocco) e' fatto di farina, sale, acqua: il tocco di 'ricchezza' sta nella cottura, a base di strutto (il grasso di maiale, che i contadini avevano in casa per produzione domestica). L'impasto viene tirato con il matterello fino a formare una sfoglia piuttosto spessa, che poi e' tagliata in piccoli rombi; questi, gettati nello strutto fuso e bollente, si gonfiano per divenire bocconi croccanti, da mangiare preferibilmente con i salumi, con i formaggi (molto adatto il formaggio grana), pinzimoni di verdure (ottimi i cipollotti novelli), oppure uva, ma la sua morte è con il "savoor" (termine dialettale indicante una marmellata ottenuta dalla bollitura di mele, prugne e tante altre cose sulle quali mia madre continua a sollevare un muro di omertà). Rigoroso l'abbinamento con il lambrusco (possibilmente grasparossa servito fresco). Le colline e le montagne modenesi sono l'area di origine della tigella o crescenta ; l'impasto e' molto simile a quello del gnocco, ma diversissima e' la cottura: la pasta si divide in tante piccole porzioni che sono schiacciate tra due puliti sassi piatti di fiume o tra testi di terracotta (spesso decorati con il motivo tipico della rosa o stella a sei punte), che sono poi messi accanto alle braci. Attualmente questo metodo originario e' poco usato ed e' stato sostituito da doppie piastre di ghisa, contenenti sei o più stampi per tigelle, che si possono mettere sul fuoco a gas. La tigella di solito si taglia a meta', poi si imbottisce o con salume affettato o con un impasto speciale a base di lardo macinato, rosmarino, aglio e formaggio "grana". Molto diffusa in tutta la montagna e' la polenta di farina di mais, servita nel piatto con condimento di funghi o formaggi o ragu' di carne, oppure tagliata a fette e fritta, come accompagnamento per altre portate. Sempre montanari, ma tipici di un'area piu' ristretta, identificabile in quella della valle del Panaro, sono i borlenghi: una pasta sottilissima, aromatizzata con aglio e arricchita con formaggio grana, ottenuta dalla cottura su piastra di un impasto semiliquido di acqua e farina. Altra specialita' della montagna sono i ciacci: la farina base questa volta non e' piu' ne' di grano ne' di mais, ma quella di castagne. Si tratta di un impasto molto liquido, cotto su piastra, con cui si produce un disco sottile, che si riempie di ricotta e zucchero e poi si avvolge. Sempre a base di farina di castagne e' il castagnaccio, una torta cotta in forno, aromatizzata con scorza di limone e arricchita (solo nella versione moderna) di cacao in polvere.

Proprietà dell'articolo
creato:sabato 7 gennaio 2017
modificato:sabato 7 gennaio 2017